lunes, 4 de agosto de 2014

Nessuno è indispensabile di Beppe Fiore

Michele Gervasini è il tuo vicino di scrivania. Goffo e incolore, sempre a un passo dall’agognato scatto di carriera, dimostra a ogni respiro una solenne verità: l’uomo è quell’animale che, grazie al lavoro, sceglie liberamente di rendersi schiavo per tutta la vita. Ma il giorno in cui i colleghi cominciano a suicidarsi a raffica, il percorso esistenziale casa-ufficio registra un sinistro scricchiolio. E sotto gli occhi stolidi della mucca aziendale in vetroresina salta in aria l’organigramma del mondo. Un romanzo abrasivo, comico e letterario, in cui ridendo degli altri è impossibile non riconoscersi. Impiegato modello in un’azienda modello – italiano medio tragicamente modello –, Michele Gervasini fa coincidere la sua idea di felicità con gli angoli acuti del contratto a tempo indeterminato. E poco importa se ogni mattina deve affrontare il traffico isterico della via Pontina per raggiungere il suo ufficio alla Montefoschi, azienda leader nella produzione di latte e derivati. Lì lo aspettano gli altri dipendenti dell’Ufficio pianificazione e controllo, una pattuglia di buffi 

animali da scrivania che vive – non solo simbolicamente – all’ombra dell’enorme, minacciosa mucca aziendale in vetroresina che campeggia davanti agli stabilimenti. Ma un giovedì mattina la più mite fra le colleghe si dà fuoco nello sgabuzzino delle scope, e all’improvviso bisogna rivedere i confini di quelle giornate che fino ad allora avevano funzionato con l’efficienza di un formicaio. Con lo spirito dissacrante di una commedia tragicomica, Nessuno è indispensabile compie un piccolo miracolo: sovverte la tradizione del romanzo industriale seguendo il ritmo e la grammatica della contemporaneità, per descrivere in maniera umanissima e feroce i rituali, le mitologie, il misticismo laico che stanno alla base della vita aziendale. Peppe Fiore racconta la deriva impazzita del mondo in cui viviamo, la nevrosi da scrivania, i tic e le frustrazioni di ogni giorno, mettendo in scena con un’irresistibile dose di cinismo personaggi che non hanno a disposizione un’altra vita, né il desiderio di immaginarsela. Se è vero che in ufficio contano solo gli obiettivi raggiunti, quando un tuo collega lascia vestiti e scarpe a filo della balaustra – allineati con la massima precisione – prima di gettarsi nel vuoto in mutande e canottiera, forse la strategia va ripensata. E non solo quella aziendale. 

MODI DI DIRE A

A
abbaiare alla luna Far cosa inutile, senza ragione e senza effetto: come appunto i cani che, nelle notti di plenilunio, latrano alla luna, quasi in una assurda sfida.
avere la luna Essere di malumore, irragionevolmente irritabili e pronti al litigio. Per l’antica credenza astrologica che la luna determinasse, con le sue fasi, lo stato psichico delle persone poste sotto il suo influsso. Da qui: alzarsi, essere con la luna di traverso; andare a lune; essere lunatici.
avere il ginocchio della lavandaia Avere proprio tutte le magagne, essere un autentico cerotto. La fortuna della locuzione si deve all’umorista inglese Jerome K. Jerome (1859-1927), autore del romanzo Tre uomini in barca, in cui un personaggio ha sofferto di tutte le malattie, tranne il ginocchio della lavandaia. Malattia che, se pur rara, esiste veramente, ed è una forma di borsite, un’infiammazione del cuscinetto che protegge la rotula.
avere la pazienza di Giobbe Essere molto pazienti, sopportare con rassegnazione molestie, ingiustizie e tribolazioni. Giobbe, principale personaggio dell’omonimo libro della Bibbia, è la personificazione del giusto che soffre mentre i malvagi prosperano, e che tutto sopporta inchinandosi al volere di Dio. 
andare in visibilio Andare in estasi per la gran gioia, o anche (ma più raramente) essere molto meravigliati. Per storpiata interpretazione popolare di visibilium omnium et invisibilium,“di tutte le cose visibili e invisibili”, parole del Credo in latino.
avere (o mettere addosso) una fifa blu Provare e, rispettivamente, incutere una bella paura, tale (in teoria) che il volto diventa così pallido da assumere una sfumatura bluastra, come in chi sia stato esposto a un freddo assai intenso. Fifa, che significa paura, vigliaccheria, viene dal gergo militare ed è parola di origine settentrionale, imprecisata.
Avere fegato Essere coraggioso, e di chi arriva fino alla temerarietà si dice che è sfegatato. L’origine: presso gli antichi, per esempio Etruschi e Greci, il fegato era considerato sede di ogni sentimento e qualità interiore. Dal suo esame indovini etruschi specializzati traevano previsioni, e tale arte era detta “aruspicina”. Più tardi il compito di ospitare sentimenti ed emozioni fu assegnato al cuore, che tuttora, per tradizione, lo svolge, incurante dei progresso scientifico.
avere il tatto di un elefante Non conoscere le buone maniere, essere privo di sensibilità come, a causa del suo spessore, sarebbe la pelle del pachiderma.
avere uno scheletro nell’armadio Efficace immagine, tradotta dall’inglese, usata con riferimento a trascorsi colpevoli che gli appartenenti a un gruppo tengono gelosamente nascosti.
avere la memoria dell’ elefante Ricordarsi a lungo di un torto subito, traendone vendetta a grande distanza di tempo.
andare a patrasso Scherzosamente: morire, mentre il meno comune inondare a patrasso significa uccidere. Ma si dice anche di un’impresa risoltasi in un fallimento. Il nome della città greca c’entra solo per caso — come l’asso nell’espressione piantare in asso — si tratta infatti di una corruzione della frase biblica ire ad patres, “andare ai padri, morire”.
avere la coda di paglia Essere sempre sul chi vive, allarmarsi alla minima allusione sfavorevole, discolparsi senza neppure essere accusati, non avendo la coscienza tranquilla. come chi avesse un’immaginaria coda di paglia e quindi un sacrosanto timore dei fiammiferi.
a caval donato non si guarda in bocca Proverbio che ha corrispondenti quasi identici, anche nella formulazione, in molte lingue. Deriva dal fatto che di un cavallo si può conoscere l’età scoprendogli i denti. Insegna che un dono va accettato così com’è, proprio perché è un dono, e che è indice di poca saggezza, oltre che di poca educazione, soppesarne il valore venale o, ancor peggio, disprezzarlo.
Alla  carlona
Frettolosamente, senza attenzione, con trascuratezza. La locuzione, che ha mutato valore nel tempo, significava “in modo semplice, bonario”; come agiva, nei tardi poemi cavallereschi, Carlomagno, detto “re Carlone”.
alle calende greche Frase tradotta dal latino: ad kalendas graecas, tolta dalla Vita di Augusto (87, 1) di Svetonio. Rimandare una cosa alle calende greche: rimandarla a data che non verrà mai, cioè non farla. E questo perché i Greci, a differenza dei Romani, non avevano nel loro calendario le calende, nome con cui si indicava il primo giorno del mese, in cui i creditori usavano sollecitare il pagamento dei debiti.
asino di Buridano Fare come l’asino di Buridano: esitare tra due cose, tra due soluzioni di un problema, senza decidersi né per l’una né per l’altra, perché entrambe ugualmente accettabili. Come avrebbe fatto, se avesse seguito le teorie del suo padrone, il leggendario asino del filosofo francese Jean Buridan (circa 1300-1 358), rettore dell’Università di Parigi. Questi sosteneva che la scelta della volontà cade sempre sul bene, sul valore migliore, e che quindi la volontà stessa sarebbe paralizzata e sospenderebbe la scelta, di fronte a due beni ugualmente importanti. Essa avrebbe quindi anche la libertà di non scegliere. Ed ecco i detrattori del filosofo inventare il paradosso dell’asino ugualmente affamato e assetato che, posto a uguale distanza da un secchio d’acqua e uno di avena, non sceglie, e quindi muore di fame e di sete. a braccio Si dice di azione improvvisata li per li, eseguita senza preparazione: fare un discorso, tenere una lezione, predicare a braccio. Quest’ultima espressione si trova, per esempio, nei Promessi sposi. Ma più propriamente si riferisce al recitare, come avveniva nella Commedia dell’arte, quando gli attori improvvisavano.
attaccare bottone Tediare qualcuno con un discorso lungo e noioso, privo di interesse per lui. Non è nota l’origine della locuzione; sembra che un tempo volesse dire parlar male di uno. L’immagine suggerita potrebbe anche essere quella del seccatore che, quasi afferrando fisicamente per la giacca il riluttante interlocutore, non lo molla finché non abbia finito di ricucirgli un immaginario bottone.
andare in oca Nel linguaggio familiare: essere distratto, dimenticarsi di qualcosa. Come si sa, con l’eccezione delle celebri oche del Campidoglio che con il loro schiamazzo salvarono la rocca capitolina da un improvviso attacco dei Galli (390 a.C.), questo palmipede non è ritenuto il Leonardo da Vinci del regno animale, e a esso si paragona la persona (in particolare la donna) sciocca, facile alla distrazione, pronta alla risatina insulsa: un’oca, la bella oca, l’oca giuliva, eccetera.
Aprire gli occhi Ricredersi o far ricredere qualcuno rendendolo edotto di una realtà che ignorava, spesso allo scopo di metterlo in guardia da un pericolo. a bizzeffe In grande quantità. Secondo alcuni, la spiegazione deriverebbe dall’uso degli alti magistrati romani di far apporre, anziché una sola volta, due volte la parola Fiat, “sia fatto”, a una supplica accolta senza riserve, con particolare favore. Il doppio Fiat era abbreviato in “FF”: bis effe. Ma l’origine più probabile starebbe nel termine arabo bizzaf, “molto”.
avere il bernoccolo Avere una particolare predisposizione a fare qualcosa, ad apprendere una scienza o un’arteL’origine della locuzione sta nelle teorie del medico tedesco F.J. Gall (1758-1828), secondo le quali l’esame della conformazione del cranio rivelerebbe lo stato neuropsichico e le tendenze di una persona. Nella patologia criminale, teorie analoghe furono quelle elaborate da Cesare Lonibroso.
Ai tempi che Berta filava Al tempo dei tempi, chissà quando nel passato. Chi fosse questa Berta (nome molto comune nel Medioevo) e quale l’origine del detto, nessuno lo sa. C’è chi risale a “Berta dai grandi piedi”, supposta madre di Carlomagno. Comunque si dice spesso: Non sono più i tempi che Berta filava, come nostalgico richiamo al passato, o come invito ad aggiornarsi, a togliersi dalla mente illusioni retrograde.
a babsurdo Latino: per assurdo. Si dice di un’argomentazione volta a dimostrare la verità attraverso gli assurdi che si dovrebbero ammettere accettando il suo contrario. Oggi si usa soprattutto per le dimostrazioni matematiche.
ab aeterno (pron. “ab etèrno”) Latino: dall’eternità. Nell’uso comune, la locuzione è usata col significato “da tempi remotissimi”. Deriva dalla teologia, dove più propriamente si adopera con riferimento alla generazione eterna del Verbo. a b imo pèctore Latino: dal profondo del petto, del cuore. Locuzione usata talvolta nel linguaggio comune, per indicare l’assoluta sincerità e spontaneità di un’affermazione.
A babbo morto Si dice di prestiti (ma anche di acquisti, eccetera), che chi ha la prospettiva di entrare in possesso di un’eredità contrae con qualcuno, generalmente un usuraio, promettendo di restituire la somma avuta o di pagare la cosa acquistata quando avrà ereditato. La locuzione significa “a data indefinita” e anche, a causa degli esosi interessi pretesi dall’usuraio, “sconsideratamente, in modo avventato”. Nel primo caso, dal punto di vista di chi fa il prestito; nel secondo, da quello dell’incauto che lo contrae. acca È lo stesso che “niente”, nelle espressioni non capire, non sapere un’acca. Ciò dipende dal fatto che la lettera non ha un suono proprio e autonomo nella lingua italiana.
Achille sotto la tenda Secondo quanto narra l’Iliade, Achille, sdegnato contro Agamennone, si ritirò dalla guerra rimanendo a lungo appartato nella propria tenda e abbandonando l’esercito del re acheo alla disfatta. Fare l’Achille sotto la tenda si usa per lo più in senso ironico, con l’implicazione che lo sdegnoso appartarsi dell’Achille in questione è presuntuoso e a sproposito, e che non otterrà l’effetto di danneggiare l’Agamennone della situazione.
all’ acqua di rose L’acqua di rose è una delicata soluzione di essenza di rose, usata come detergente o emolliente per la pelle. Da qui la locuzione citata, che si usa a proposito di cose fatte con superficialità, di rimedi inadeguati, semplici palliativi.
acqua in bocca! Esortazione a mantenere il segreto, a non lasciarsi sfuggire una parola di quanto si è detto in stretta confidenza. All’origine del detto sarebbe un aneddoto raccontato dal lessicògrafo fiorentino Pietro Giacchi: secondo tale aneddoto, una donnetta maldicente ma devota pregò il suo confessore di darle un rimedio contro quel peccato. Un giorno il prete le diede una boccetta d’acqua di pozzo, raccomandandole di tenerla sempre con sé e di versarne qualche goccia in bocca, tenendo questa ben chiusa, ogni volta che fosse assalita dalla tentazione di sparlare del prossimo. Così fece la donna, e ne trasse tanto giovamento da ritenere che quell’acqua avesse virtù miracolose. Se non è vera — come si usa dire — è ben trovata. acqua passata non macina più Si dice di cose e avvenimenti che non hanno più effetto né valore: come l’acqua che, essendo ormai passata oltre la ruota del mulino, non può più muoverla per macinare il grano.
avere (sentirsi, far venire) l’ acquolina in bocca Sono tutte espressioni che, letteralmente, si riferiscono alla saliva che si produce in bocca alla vista o al solo pensiero di una pietanza appetitosa. Per estensione, alludono in generale a cosa vivamente desiderata, appetibile.
ad audièndum Verbum Latino: per ascoltare la Parola, il Verbo. Locuzione usata ironicamente, con riferimento a un subalterno convocato dal superiore per ricevere ordini, o istruzioni, o anche lavate di capo.
ad augusta per angusta Latino: alle cose eccelse per vie strette. La locuzione significa che non si possono raggiungere alti traguardi senza sottostare a duri sacrifici. È la parola d’ordine dei congiurati nel dramma Emani (atto IV) di Victor Hugo.
adelante, Pedro, con juicio (pron. “…huìzio”) Spagnolo: avanti, Pietro, con giudizio. Frase messa dal Manzoni (Promessi sposi, cap. XlI) in bocca al cancelliere Ferrer, che la rivolge al suo cocchiere, mentre la carrozza passa attraverso una folla di dimostranti, diretta al palazzo del Vicario di provvisione assediato e minacciato di morte. Si usa per raccomandare attenzione e massima prudenza nell’operare
ad hoc (pron. “ad òk”) Latino: per ciò, per questo effetto. Locuzione usata per indicare che una persona, una frase, una spiegazione sono proprio quelle più adatte alla circostanza, o allo scopo che ci si prefigge. Perciò si dice: una cosa ad hocla persona ad hoc, ossia scelta espressamente, tagliata su misura per la funzione assegnatale.
ad honorem (pron. “ad onòrem”) Latino: ad onore. Locuzione usata a proposito di incarico o qualifica conferiti a titolo onorifico, e senza i relativi emolumenti: una presidenza onoraria, per esempio, affidata per dare lustro a un sodalizio o anche a una società commerciale, mentre il potere effettivo è in altre mani. Si dice anche di laurea conferita senza necessità di esami, discussioni di tesi, eccetera, per i meriti eccezionali conseguiti da una persona nel campo di studi attinenti alla laurea stessa.
ad impossibilia nemo tenetur Latino: nessuno è tenuto a fare ciò che è impossibile. Ovvio aforisma giuridico, ma anche uno dei cardini del diritto delle obbligazioni: Uno dei requisiti essenziali di un contratto è la possibilità del suo oggetto.
ad lìbitum Latino: a piacere, a volontà. Riferito a cosa, azione la cui quantità o durata è lasciata alla volontà della persona interessata. La formula, spesso abbreviata in ad lib., si legge ancora talvolta nelle ricette
mediche. E usata nella liturgia, ma soprattutto come didascalia musicale per indicare che l’esecuzione di un passo, la ripetizione di un ritornello, eccetera, sono affidate alla libera interpretazione dell’artista.
ad maiòra! Latino: a cose più grandi! Formula di augurio: la si rivolge, generalmente, a chi ha conseguito un successo, per auspicare che ne consegua presto di maggiori.
ad maiòrem Dei gloriam Latino: a maggior gloria di Dio. Spesso abbreviato in A.M.D.G., è il motto della Compagnia di Gesù, fondata da sant’Ignazio da Loyola nel 1534.
ad multos annos Latino: per molti anni. Formula pronunciata dal vescovo consacrato e rivolta al consacrante. Nell’uso comune, è un augurio generico che equivale a: cento di questi giorni; o al napoletano: possa campa’ cient’anni.
ad patres Latino: agli antenati. Ire ad patres significa “andare a rivedere gli antenati”, ossia morire. Donde, per corruzione, l’italiano andare a patrasso .
ad usum delphini (pron. “...delfìni”) Latino: a uso del Delfino. Il Delfino era l’erede al trono di Francia, e questo motto venne stampato sul frontespizio di una serie di classici latini purgati dei passi più scabrosi, iniziata a cura di Bossuet e Huet per ordine del duca di Montausier, nominato dal Re Sole, Luigi XIV, precettore del Gran Delfino. La frase viene usata in senso spregiativo, riferendola a cosa, a verità manipolata e adattata al solo scopo di compiacere una data persona o parte, e in genere a notizia “addomesticata”, che cela parte della verità, travisandola. a fortiori (pron. “a forziòri”) Latino: sottinteso ratione, “a maggior ragione”. Si dice di argomento logico, che deve essere accettato come valido per il fatto che un altro argomento, precedente, lo è stato.
ago della bilancia Espressione usata in senso figurato per indicare persona, fazione, partito (soprattutto se di scarso peso in senso assoluto), il cui atteggiamento può, data una situazione, determinare l’evolversi di questa in un senso piuttosto che in un altro.
aiutati che il ciel (o Dio) t’aiuta Detto proverbiale, che ha corrispondenze quasi letterali in molte lingue. Il significato, intuitivo, è che il primo e principale aiuto viene da noi stessi. à la belle étoile (pron. “a la bèl etuàl”) Francese: alla bella stella, cioè all’aperto, allo scoperto. Dormire à la belle étoile significa dormire all’addiaccio, in genere per non esser riusciti a trovare un letto. Ha un corrispondente italiano nella locuzione dormire all’albergo della luna (o delle stelle). à la fortune du pot (pron. “a la fortùn du pò”) Francese: alla fortuna della pentola. Mangiare
à la fortune du pot equivale all’italiano: mangiare quello che c’è, quello che passa il convento. à la guerre comme à la guerre (pron. “a la ghèr kòm a la ghèr”) Francese: in guerra come in guerra. Significa che bisogna adattarsi alle circostanze, visto che non si può fare altrimenti. a làtere Latino: a fianco. Legato pontificio, in genere un cardinale, che agisce quale alter ego del Papa in missioni particolari o in cerimonie di grande solennità. Più comunemente si legge oggi del giudice
a làtere, che è un magistrato di carriera il quale, a fianco del presidente, forma il tribunale. L’espressione si applica anche a per-sona che è in grande confidenza con un’altra e che si vede sempre in sua compagnia.
àlea iacta est Latino: il dado è stato gettato. O, come si dice proverbialmente, il dato è tratto, a indicare che è stata compiuta una scelta, presa una decisione irrevocabile, quali che possano esserne le conseguenze. La famosa frase fu pronunciata da Cesare, secondo quanto narra lo storico Svetonio (Vita di Cesare, 52), allorché passò con il suo esercito il Rubicone, in Romagna, per marciare su Roma contro Pompeo, nel gennaio del 49 a.C. Tale atto ne faceva automaticamente un nemico della Repubblica, poiché una legge imponeva ai generali che entravano in Italia dal Settentrione di congedare le truppe prima di passare questo fiume.
abbassare le ali Lo stesso che abbassare la cresta , cioè smettere la superbia e assumere un atteggiamento più modesto e remissivo.
àlias Latino: altrimenti. Avverbio che appare per lo più nella cronaca giornalistica per indicare il nome falso assunto da un furfante o il nomignolo con cui è noto.
àlibi Latino: altrove. Nel diritto, mezzo di difesa dell’imputato consistente nel dimostrare che, al momento in cui fu commesso il reato, egli non si trovava nel luogo dello stesso, ma altrove. Nel linguaggio comune, per esempio nella frase: cercare un alibi morale, significa scusa o pretesto per sfuggire alle proprie responsabilità.
all right (pron. “òl ràit”) Inglese: tutto bene, tutto per il giusto verso. Ma è stato quasi completamente scalzato dall’americano O.K.
alter ego Latino: un altro me stesso. Si dice di persona che rappresenta in tutto e per tutto un’altra, che ha la piena fiducia di questa. alla macchia La macchia, boscaglia caratteristica dei Paesi mediterranei, era (ed è) il nascondiglio ideale per chi aveva conti in sospeso con la giustizia. Perciò le locuzioni:
darsi alla macchia, cioè al brigantaggio, rendersi latitante (durante la Seconda guerra mondiale significò anche unirsi ai partigiani, o semplicemente isolarsi in luogo sicuro); libro, manifesto stampato alla macchia, ossia clandestinamente, senza le prescritte indicazioni dell’editore e dello stampatore.
amico del giaguaro Nata da una barzelletta ed entrata nel parlare comune grazie a un fortunato spettacolo di varietà televisivo, l’espressione si usa scherzosamente per mettere in dubbio la lealtà di un amico che, secondo noi, solleva troppe obiezioni.
amico Fritz Si dice a volte, con evidente ironia circa la genuinità della sua amicizia, alludendo a persona nota agli interlocutori, ma che questi non vogliono nominare esplicitamente.L’amico Fritz è un’opera lirica di Pietro Mascagni.
amleto, amletico Amleto è il protagonista dell’omonima tragedia di William Shakespeare, la tragedia del pensiero, del dubbio che paralizza l’azione e mina la volontà. Perciò si parla didubbio amletico e di essere un amleto, cioè persona chiusa nella meditazione e travagliata dal dubbio, incapace di giungere a una decisione. ammucchiata Dall’accezione di riunione di più coppie a fini erotici, in genere con scambio dei partner fra le coppie stesse, è derivata quella ammucchiata politica per cui partiti eterogenei e spesso ideologicamente contrapposti formano palesi o tacite alleanze, pur dì spartirsi il potere. È dunque un termine spregiativo; ma i pubblicitari gli hanno già cambiato i connotati: Un’ammucchiata di successi in questo nuovo LP. È presumibile che si siano rifatti al significato erotico.
amor, ch’a nullo amato amar perdona Dante (Inf., V, 103). Nel racconto di Francesca da Rimini, significa — secondo le teorie sull’amore svolte da Guido Guinizelli e accettate da Dante — che Amore non consente a chi è amato di non riamare. Cosa non sempre vera, ma ognuno ha il diritto di credere nelle proprie illusioni.
amor di fratello, amor di coltello Vuol dire che spesso le più aspre inimicizie si manifestano tra fratelli. L’evangelico “amatevi come fratelli” resta una lodevole esortazione, frequentemente contraddetta da una realtà che il proverbio, disincantato e cinico come molti proverbi, si limita a costatare. ancien régime (pron. “ansièn rezim”) Francese: vecchio regime. Espressione con cui si designò, dopo la Rivoluzione Francese, il deposto regime monarchico e assolutista dei Borboni: da parte dei rivoluzionari con disprezzo, dai reazionari con nostalgia. Cosi, pur in mutate circostanze storiche, suona ancor oggi, e ha conservato il duplice valore che aveva in origine, secondo l’opinione di chi la usa, e anche senza allusioni politiche.
Annibale alle porte Traduzione dal latino: Hannibal ad portas. Proverbiale, per avvertire dell’imminenza di un pericolo. Nacque tra i Romani, dopo la scon-fitta di Canne, quando si temeva che da un momento all’altro Annibale potesse comparire con il suo esercito alle porte di Roma. Cicerone la riporta nella prima delle sue celebri Filippiche, le orazioni contro M. Antonio (44 a.C.), pari in veemenza a quelle di Demostene contro Filippo il Macedone (IV sec. a.C.).
ante lìtteram Latino: avanti lettera. Si dice di persona, o di fenomeno culturale, politico, eccetera, che ha precorso i tempi in cui si è storicamente manifestato. “Lettera” era chiamata l’iscrizione apposta alle incisioni d’arte, quale didascalia; le prove delle incisioni tirate senza la “lettera”, prima della stampa vera e propria, erano dette ante litteram e, proprio per questo motivo, avevano grande pregio. apertis verbis Latino: con parole franche. Schiettamente, senza peli sulla lingua, chiaro e tondo.
avere molto aplomb (pron. “aplòn”) Dal francese aplomb; letteralmente: a piombo, perpendicolare. Significa possedere un’assoluta, e a volte sfrontata, sicurezza di sé. In un certo senso, una bella faccia tosta.
a posteriori Latino: da ciò che è posteriore. Quel tipo di ragionamento per cui si deduce la causa dall’effetto: vedendo un orologio, deduciamo che debba esserci, o esserci stato, un fabbricante di orologi. Spesso la locuzione è usata nel senso puro e semplice di “dopo, a cose fatte”. a priori Latino: da ciò che precede. Termine filosofico che nel linguaggio comune è impiegato per descrivere, riprovandolo, l’atteggiamento di chi emette giudizi basati su sue convinzioni preconcette e non alla luce dell’esperienza obiettiva.
araba fenice Si dice di cosa o persona unica, senza uguali, oppure immaginaria, inesistente. Trovare un idraulico, oggi, è come trovar l’araba fenice, della quale il Metastasio scriveva:che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. La fenice — la cui prima menzione si trova in Erodoto (Storie, II, 73) — era un uccello favoloso del quale esi-steva un solo esemplare che si riproduceva se-condo una strana forma di partenogenesi, cioè rinascendo dalle proprie ceneri. A causa di questa leggenda, la fenice fu assunta a simbolo di unicità, di immortalità e di resurrezione. a ria fritta Ormai ha stancato, questo modo di dire riferito a parole prive di contenuto, gonfie solo dell’aria emessa per pronunciarle. In genere commenta i discorsi fumosi, le promesse illusorie, campate in aria. Fritta, appunto.
armiamoci e partite! Questa battuta fu messa in voga da Lorenzo Stecchetti (pseudonimo di Olindo Guerrini) nel 1895, al tempo della prima impresa abissina, che doveva concludersi male per l’Italia l’anno dopo: ne fecero largo uso, allora e dopo, gli antimilitaristi, e la si ripete ancora oggi per ironizzare su chi sprona gli altri a rischiare, ad affrontare disagi e pericoli, badando bene, però, a non farlo egli stesso.
asinus asinum fricat Latino: l’asino si strofina all’asino. La frase cade a proposito osservando due sciocchi e vanesi che, incontrandosi, si scambiano lodi sperticate, e immeritate.
aspetta e spera... È nell’uso familiare e ha lo stesso significato e valore di campa cavallo... , come dire: “Ti illudi, caro mio!” Proviene da Faccetta nera, marcetta che accompagnò la campagna di Etiopia (1935-1936) e la conquista del nostro effimero impero coloniale.
assalto alla diligenza Nel linguaggio parlamentare italiano la frase si diffuse al principio del 1915, quando l’on. Salandra definì in tal modo le manovre dell’opposizione per far cadere il governo. La si usa tuttora per qualificare gli intrighi orditi da persone o gruppi di persone per scalzare dal loro posto altre persone o gruppi; e soprattutto quando scopo ultimo degli intrighi è l’arrembaggio al “carrozzone”, cioè agli incarichi lautamente retribuiti.
avere un asso nella manica Nei giochi di carte, l’asso nascosto nella manica ce l’hanno i bari. Ma in senso figurato l’espressione non implica necessariamente un giudizio morale negativo. Significa aver delle risorse, delle proposte, degli argomenti tenuti in serbo e che, fatti valere al momento più opportuno, assicureranno il successo, la vittoria.
audaces fortuna iuvat Latino: la fortuna aiuta gli audaci. Variante più comunemente usata dall’emistichio (mezzo verso) audentes fortuna iuvat, che si trova in Virgilio (Eneide, X, 284) e che si completa con le parole timidosque repellit, “e respinge i vigliacchi”. Si cita per spronare i pavidi all’azione, allo stesso modo del proverbio: Chi non risica non rosica.audience (pron. “òdioens”) Inglese dell’ ”aziendese”; c’è qualche zelante (a sproposito) che l’ha tradotto con “udienza”, apparentandolo ai tribunali. Il termine indica quel gruppo di persone (lettori di giornali, spettatori televisivi e cinematografici, ascoltatori della radio, eccetera) che è raggiunto da un messaggio pubblicitario in un certo periodo di tempo. Questaaudience è in stretto legame di parentela con il target, cioè il bersaglio del messaggio pubblicitario e insieme l’obiettivo di vendite da raggiungere.
aurea mediòcritas Latino: aurea mediocrità. La elogia Orazio (Odi, Il, 10, 5-6), la scherniscono gli ambiziosi. È quello stato di modesta felicità che raggiunge chi sa accontentarsi, tenendosi lontano da posizioni estreme e senza affannarsi per emergere a tutti i costi.
aut aut Latino: o…o. Locuzione usata quando si ingiunge a qualcuno di compiere una scelta definitiva, e in genere troppo a lungo procrastinata.
aut Caesar aut nihil Latino: o Cesare o nulla. Motto di Cesare Borgia, il celebre Valentino, derivato da una famosa frase attribuita a Giulio Cesare, il quale l’avrebbe pronunciata mentre attraversava un modesto borgo alpino: “Meglio essere il primo in questo villaggio che il secondo a Roma”. I due personaggi non peccavano certo di modestia.
ave, Caesar (o imperàtor), morituri te salutant! Latino: ave, Cesare (o imperatore), quelli che vanno a morire ti salutano! Era il saluto che i gladiatori, secondo quanto riferisce lo storico Svetonio (Claudio, 21), rivolgevano all’Imperatore, schierati davanti al suo palco, prima di cimentarsi nelle cruente e spesso mortali gare del circo. Si usa, per lo più scherzosamente, quando ci si accinge ad affrontare un pericolo, vero o supposto, un esame difficile, eccetera.
avvocato del diavolo Dal latino advocatus diaboli. Si dice di chi, a fini puramente dialettici, cerca ogni argomento, anche il più capzioso, per contestare una tesi. Deriva dal nome popolarmente dato al “promotore della fede”, ossia all’avvocato concistoriale, che, nei processi di canonizzazione, ha il compito di sollevare tutte le obiezioni possibili affinché, confutate queste oltre ogni dubbio, sia dimostrata la santità di colui che ci si propone, attraverso il processo, di elevare all’onore degli altari.
azzeccagarbugli Il dottor Azzeccagarbugli è il meschino e pa-vido avvocato dal quale, nel terzo capitolo dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, si reca Renzo per chiedergli, ma invano, la protezione della legge contro le prepotenze di don Rodrigo. Il termine è usato per indicare un avvocato da strapazzo, un intrigante, un individuo capzioso pronto a cogliere ogni pretesto per aver ragione.