jueves, 31 de julio de 2014

ANGELICA 
Don Calogero si avanzava con la mano tesa e inguantata verso la principessa: “Mia figlia chiede scusa: non era ancora del tutto pronta. Vostra Eccellenza sa come sono le femmine in queste occasioni”, aggiunse esprimendo in termini quasi vernacoli un pensiero di levità parigina. “Ma sarà qui fra un attimo; da casa nostra sono due passi,come sapete”. 
L’attimo durò cinque minuti; poi la porta si aprì ed entrò Angelica. La prima impressione fu di abbagliata sorpresa. I Salina rimasero col fiato sospeso; Tancredi si sentì addirittura come gli pulsassero le vene nelle tempie. 
Sotto l’urto che ricevettero allora dall’impeto della sua bellezza, gli uomini rimasero incapaci di notare, analizzandola, i non pochi difetti che quella bellezza aveva; molte dovevano essere le persone che di questo lavorio critico non furono capaci mai. Era alta e ben fatta, in base a generosi criteri; la carnagione sua doveva possedere il sapore della crema fresca alla quale rassomigliava, la bocca infantile quello delle fragole. Sotto la massa dei capelli color di notte avvolti in soavi ondulazioni, gli occhi verdi albeggiavano immoti come quelli delle statue e, com’essi, un po’ crudeli. Procedeva lenta, facendo roteare intorno a sé la ampia gonna bianca e recava nella
persona la pacatezza, l’invincibilità della donna di sicura bellezza. Molti mesi dopo soltanto si seppe che nel momento di quel suo ingresso vittorioso essa era stata sul punto di svenire per l’ansia. Non si curò del Principe che correva verso di lei, oltrepassò Tancredi che le sorrideva trasognato; dinanzi alla poltrona della Principessa la sua groppa stupenda disegnò un lieve inchino, e questa forma di omaggio, inconsueta in Sicilia, le conferì un istante il fascino dell’esotismo in aggiunta a quello della bellezza paesana.

IL GATTOPARDO
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa



I libri delle vacanze. Come imparare a odiare i classici

Alla fine dell’anno scolastico i professori assegnano le letture secondo un «canone» immutabile che privilegia autori del ’900: perché non cambiare?

C’è un fenomeno curioso che si ripete intorno al solstizio d’estate, ma non riguarda l’astronomia. A giugno, nelle classifiche dei libri più venduti – solitamente prive di sorprese – si affacciano regolarmente tre o quattro titoli di Italo Calvino, sempre gli stessi, e Se questo è un uomo di Primo Levi. Che succede? Niente di speciale: letture consigliate (o imposte) dalla scuola per le vacanze. Se compaiono fra i best-seller, è segno che la scelta degli insegnanti italiani è di massa: la trilogia degli Antenati – Il barone rampante, Il visconte dimezzato, Il cavaliere inesistente – e il grande e terribile romanzo testimoniale di Levi sulla Shoah costituiscono da più di quarant’anni le punte del canone scolastico.  

Non sarà arrivata l’ora di aggiornarlo? Suggerire una lettura agli adolescenti è una responsabilità: quando si azzarda, si corrono parecchi rischi. Come ha dimostrato nei mesi scorsi il caso Mazzucco – al liceo Giulio Cesare di Roma sollevò un vespaio la scelta del romanzo Sei come sei, storia d’amore omosessuale – è facile urtare la sensibilità dei ragazzi e ancor più delle famiglie. Oltre a quella, naturalmente sempre viva, degli ipocriti. Ma bisogna mettersi nei panni dei professori: condizionati dalla missione pedagogica, cercano testi, se non rassicuranti, sicuramente non ambigui, rodati da una lunga tradizione di lettura. In una parola, inattaccabili.  

Dopo il 1865, a ogni libro che entrasse in aula doveva essere riconosciuta l’«utilità per le scuole». La discussione sul canone era accesa; la triade ideologico-pedagogica a cui ispirare le scelte, solenne: Dio Patria Famiglia. Nomi di autori che oggi non ci dicono più niente – Pandolfini, Alberti, Segneri, Lambruschini, Abba – erano considerati essenziali per illustrare ai ragazzi le virtù della famiglia e il buon costume. L’accigliato Girolamo Tagliazucchi pubblicò nel 1882 un saggio intitolato Della maniera d’ammaestrare la gioventù nelle umane lettere, nel quale invitava a sottoporre agli studenti soltanto opere «nette da ogni scostumatezza». La Mazzucco non sarebbe stata ammessa. Sembrano toni arcaici, ma non è così: la sfortuna postuma di Alberto Moravia non è forse dovuta al suo mancato ingresso nel canone scolastico? Troppo sesso. Per fortuna ci pensano gli americani a rivalutare un autore omaggiatissimo in vita e poi accantonato. La rivista «Publishers Weekly» ha inserito nella sua lista di consigli per l’estate 2014 Agostino in una nuova traduzione inglese. Cento pagine perfette, assicura la rivista – ed è vero. Il libro di Moravia ha settant’anni esatti – uscì nel ’44 – ma non li dimostra, e dubito che questa storia di iniziazione sessuale, tutto sommato casta, possa turbare un giovane lettore di oggi.  

Sarebbe tuttavia sciocco ridurre il discorso del canone scolastico a una questione di rossori e pruderie. C’è in gioco molto altro. Compresa una domanda sibillina: a uno scrittore, entrare nel canone scolastico fa bene o fa male? Si direbbe faccia bene, giudicando dai numeri. Lavorando sui dati di circa 400 librerie indipendenti italiani, un giovane studioso, Gabriele Sabatini, ha fatto alcune scoperte interessanti. Se nel 2012, in proiezione, Agostino di Moravia aveva venduto intorno alle 2 mila copie, Il barone rampante di Calvino ne aveva vendute oltre 21 mila. È l’effetto compiti delle vacanze, confermato dal fatto che un libro fuori dal canone scolastico come Palomar ha venduto molto meno. Il povero Gadda dell’arduaCognizione del dolore si ferma sotto le 2 mila copie annue. Certo è che la consacrazione sui banchi non ha solo effetti positivi: inevitabilmente porta con sé una patina istituzionale, un po’ grigia, che rischia di trasformare anche il più godibile dei romanzi in un obbligo indigesto. Accade così che, usciti da scuola, si pensi a Calvino come a un autore per ragazzi e all’opera di Primo Levi come qualcosa di inavvicinabile. Assegnare Se questo è un uomo per l’estate è un errore: senza un sostegno, una guida, una discussione, è tutto tranne che una lettura da fare a sedici anni, di corsa e svogliatamente, negli ultimi giorni di vacanza. Non si potrebbe osare di più? Fare una sorta di assemblea di classe a inizio giugno, scegliere insieme agli studenti da una rosa di titoli meno prevedibile. Oppure organizzare una spedizione in libreria dei singoli ragazzi: che siano loro a proporre. E ancora: siamo sicuri che d’estate gli studenti debbano leggere esclusivamente narrativa? E se scegliessero un saggio su un tema che li appassiona? Un saggio scientifico, filosofico, un testo giornalistico; qualunque cosa – in formato digitale, volendo – che metta in moto il pensiero e tenga la lingua allenata non solo per i baci.  

Il vecchio e sterile slogan sul «piacere della lettura» non ha nessun effetto: è ora di abbandonarlo, e di concentrarsi sulle ragioni per cui vale la pena leggere. Non in generale, ma in particolare: quel libro, quel testo, quell’autore. Ricominciamo dai perché più infantili. Se ai professori chiedessimo perché leggere Il barone rampante, saprebbero dare risposte convincenti? Ripartiamo da lì, e i ragazzi a settembre tornino in classe senza riassunti e commenti. Pronti solo a contraddire o a confermare quei «perché», e magari – sarebbe una sorpresa – a proporne di nuovi.  

"La punteggiatura è proprio ciò che porta la musica del parlato nel testo scritto: la sospensione leggera della virgola, quella più forte e decisa del punto, la sospensione dei tre puntini". 
Emilio Tadini