jueves, 31 de julio de 2014

ANGELICA 
Don Calogero si avanzava con la mano tesa e inguantata verso la principessa: “Mia figlia chiede scusa: non era ancora del tutto pronta. Vostra Eccellenza sa come sono le femmine in queste occasioni”, aggiunse esprimendo in termini quasi vernacoli un pensiero di levità parigina. “Ma sarà qui fra un attimo; da casa nostra sono due passi,come sapete”. 
L’attimo durò cinque minuti; poi la porta si aprì ed entrò Angelica. La prima impressione fu di abbagliata sorpresa. I Salina rimasero col fiato sospeso; Tancredi si sentì addirittura come gli pulsassero le vene nelle tempie. 
Sotto l’urto che ricevettero allora dall’impeto della sua bellezza, gli uomini rimasero incapaci di notare, analizzandola, i non pochi difetti che quella bellezza aveva; molte dovevano essere le persone che di questo lavorio critico non furono capaci mai. Era alta e ben fatta, in base a generosi criteri; la carnagione sua doveva possedere il sapore della crema fresca alla quale rassomigliava, la bocca infantile quello delle fragole. Sotto la massa dei capelli color di notte avvolti in soavi ondulazioni, gli occhi verdi albeggiavano immoti come quelli delle statue e, com’essi, un po’ crudeli. Procedeva lenta, facendo roteare intorno a sé la ampia gonna bianca e recava nella
persona la pacatezza, l’invincibilità della donna di sicura bellezza. Molti mesi dopo soltanto si seppe che nel momento di quel suo ingresso vittorioso essa era stata sul punto di svenire per l’ansia. Non si curò del Principe che correva verso di lei, oltrepassò Tancredi che le sorrideva trasognato; dinanzi alla poltrona della Principessa la sua groppa stupenda disegnò un lieve inchino, e questa forma di omaggio, inconsueta in Sicilia, le conferì un istante il fascino dell’esotismo in aggiunta a quello della bellezza paesana.

IL GATTOPARDO
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa



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